Ogni giorno i quotidiani si riempiono di vicende legate all’odio in rete. Perché l’odio on-line corre, e pure velocemente.
Difficile dire se si tratti più di un focus dei giornali su questi fatti gravissimi, o se la situazione sia veramente peggiorata con l’avvento degli strumenti informatici. Perché diciamoci la verità, le persone che diffondono odio in rete hanno probabilmente sempre pensato ciò che ora esprimono. Internet non ha peggiorato il loro pensiero, l’ha solo reso più facile da esprimere. Ma quali sono le conseguenze? E soprattutto, che cosa possiamo fare?
Odio in rete e giovane età. Un brutto binomio
Pur mantenendo sempre viva quella che è la libertà di pensiero, non possiamo trattare gli insulti come un’opinione. Nel momento in cui si prende di mira qualcuno, lo si infama, si utilizzano parole indicibili nei suoi confronti, si sta commettendo un reato. E come tale questo va punito. Tuttavia sorprendono i dati relativi a molte di queste aggressioni virtuali. Se può fare indignare il comportamento di un adulto che inveisce contro qualcuno in rete, la questione fa ancora più rumore se a farlo è un giovanissimo. Poiché l’adulto può avere attenuanti generiche (che comunque non diminuiscono la gravità della situazione). Con il giovanissimo invece sorprende la quantità di odio che può accumularsi, la formazione di un pensiero così becero e privo di speranza. E a quel punto la domanda è: “dov’è iniziato il fallimento”?
L’ambiente famigliare ha instillato nel giovane queste idee? La compagnia, l’ambiente quotidiano? Qual è il ruolo della scuola nell’educazione al rispetto dell’altro? E dove termina questo ruolo e quando inizia quello della famiglia? La questione è certamente complicata, ma da un punto bisogna partire: anche per un solo comportamento del genere, un fallimento c’è stato. E bello grosso.
Ha colpito in queste ore il comportamento di un ragazzo piemontese, reo di aver insultato online una donna con epiteti razzisti e sessisti. Nonostante l’intervento degli avvocati, il comportamento del giovane è senza attenuanti di nessun genere. Una storia che fa clamore per la violenza delle affermazioni, ma che soprattutto fa suonare tantissimi campanelli d’allarme.
Episodi di questo genere non dovrebbero esistere in una società civile.
L’odio in rete contro i disabili
Terribile l’accoglienza che i Social hanno riservato a Ellie Goldstein, modella con la sindrome di Down scelta da Gucci per la sua ultima campagna. Il bel gesto della casa di moda, evidentemente volto a lanciare un segnale di uguaglianza fra le persone al di là delle apparenze, è stato interpretato da molti utenti come “buonista”. Ovvero una maniera per farsi pubblicità. La giornalista Monica Napoli ha raccolto diversi di questi commenti raccapriccianti, lanciati su Facebook senza pensarci due volte. Come se dall’altra parte non ci fosse una persona, ma qualcosa che la identifica a priori. La persona viene dopo, per parte del web.
Correre ai ripari. Cosa possiamo fare
On-line, commenti diffamatori, insulti, espressioni d’odio possono essere rimossi. Benché alla base di questo problema sia necessario intervenire con politiche di educazione al rispetto, l’azione immediata può far sì che il commento sparisca. Tutela Digitale può intervenire in casi come questo ed ottenere l’eliminazione del contenuto. Tuttavia ci sentiamo anche di spingere a segnalare sempre l’episodio. Ogni social network oggi permette di segnalare comportamenti inappropriati; fatelo. Perché i responsabili non rimangano impuniti e possano almeno rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni.