Internet ha portato l’uomo contemporaneo a maneggiare un numero enorme di informazioni. Mai prima d’ora era stato così. L’incredibile capacità di trasmettere informazioni veloci, essenziali, senza tregua, è ora parte della nostra realtà. Con tutte le conseguenze del caso.
Il web prima e i social network poi, hanno dato vita a fenomeni sempre più intensi di gogna mediatica. Ma a questo si può reagire. Vediamo come.
Che cos’è la gogna mediatica
Tutti dovremmo orami avere confidenza con questo termine. Anche perché già la stampa ed i mass media prima di internet ne avevano sfruttato a pieno le possibilità. Pensiamo alla famosissima vicenda di Monica Lewinsky, che nel 1998 fu travolta (e distrutta) da una vicenda finita velocemente sulla bocca di tutti. Il problema, troppo spesso, è che sulla gogna mediatica, ovvero la pubblica umiliazione di qualcuno che può (o meno) aver fatto un errore o comunque un’azione giudicata sconveniente dalla società, finiscono persone in carne ed ossa. Con dei sentimenti. Ne consegue che il giudizio, oggi più che mai velocissimo, intimidatorio, armato del vocabolario del linciaggio in pubblica piazza, sia ormai la normalità. Con buona pace della vittima.
I social hanno trasformato questa pratica in un’enorme processo a cui tutti possono partecipare. Messaggi di odio vengono lanciati come pugnali. Insulti, giudizi sommari. Ognuno dice la sua senza preoccuparsi delle conseguenze, poiché i mezzi informatici forniscono un naturale schermo protettivo, un muro costituito da un nickname e chilometri e chilometri di distanza dalla persona presa di mira. Ma non è forse questa un’altra espressione del Cyberbullismo?
Il surreale caso di Justine Sacco
Come racconta Jon Ronson in un TedTalks del 2015, alcune storie raggiungo connotati surreali. Una di queste è la vicenda di Justine Sacco, che subì la gogna mediatica agli albori di Twitter. Dopo aver twittato quello che sembrava una battuta razzista prima di imbarcarsi su un volo per l’Africa, Justine fu distrutta dal pubblico di Twitter. Non solo la sua battuta non passò inosservata, perché ri-twittata da un giornalista con migliaia di follower, ma la sua intera persona fu insultata, bistrattata e pubblicamente umiliata. Il tutto mentre lei volava, con il telefono spento, inconsapevole di quello che stava accadendo. Oltre agli insulti di stampo sessista (che sembrano inevitabili quando il soggetto è una donna) furono lanciate campagne per il suo licenziamento. Fu invocato l’intervento di qualche utente Twitter affinché andasse all’aeroporto di Cape Town. Riprendere la reazione di Justine. Vederla umiliata nello scoprire cos’era successo. Il tutto al grido di #hasJustineLandedYet (è già atterrata Justine?).
La storia di Justine, come tante altre tristemente famose e con finali ben peggiori, sono all’ordine del giorno. Alla gogna mediatica si aggiungono le vicende di revenge porn, con i casi tragici di Tyler Clementi e Tiziana Catone .
Come combattere la gogna mediatica
Evidente è la necessità di combattere queste forme di umiliazione pubblica ed eterna. Al web ha dato risposta il Diritto all’Oblio, la possibilità di essere dimenticati dalla rete per fatti del passato che non hanno più una rilevanza pubblica. Eppure, il problema andrebbe estirpato alla radice. Quello che va trovato è un modo più compassionevole ed empatico di affacciarsi alla rete. Questo enorme mare di informazioni, dove possiamo far sentire la nostra voce senza controllo, va trattato con dignità. Poiché, come detto in apertura, dietro a dei nickname ci sono delle persone vere. Recentemente stanno nascendo interessanti iniziative atte a proteggere le vittime e punire i colpevoli. Campagne per sensibilizzare all’uso della parola on-line, rendendosi conto che non si tratta di un porto franco in cui annegare le proprie frustrazioni. Ne è un esempio Odiare ti costa, una campagna avviata per combattere i cosiddetti Leoni da tastiera. Il principio alla base è proprio quello di punire chi insulta on-line. Fare in modo che le parole non siano considerate armi minori.
Sally Kohn, esperta politica americana, sostiene inoltre che siano proprio gli utenti ad avere in mano l’ago della bilancia. La nuova economia del web funziona su ciò che ha successo. Se non clicchiamo certi link, questi non vengono più proposti. E lancia dunque un appello: decidiamo a cosa dare attenzione. Cambiamo il nostro modo di cliccare.