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I competitor possono utilizzare il mio marchio come Keyword nelle Google ads?

Google Ads

Ti presentiamo una guida legale e partica per capire fino a che punto è lecito utilizzare il marchio di un concorrente come keyword nelle pubblicità online per portare l’utente a promuovere servizi o prodotti 

Promuoversi online e offline oggi è sempre più complesso; la competizione è sempre più alta e riuscire ad emergere diventa oneroso e difficoltoso. Non solo dal punto di vista strategico, ma anche tecnico. Le diverse piattaforme disponibili cambiano spesso le modalità di utilizzo che ti costringono a essere sempre aggiornato.
Negli ultimi anni realizzare campagne pubblicitarie online si è rivelato uno strumento di promozione indispensabile per ogni azienda che aspira a crescere e consolidare la propria presenza sul mercato. Con milioni di utenti che navigano quotidianamente su internet, le piattaforme pubblicitarie come Google Ads e Facebook Ads offrono opportunità senza precedenti per raggiungere il proprio target specifico, aumentare la visibilità del proprio brand e gli ordini sul proprio e-commerce.
Cosa fanno esattamente questi strumenti?

Google Ads

La piattaforma del colosso della Silicon Valley, consente agli inserzionisti di creare e mostrare annunci pubblicitari su Google e sulla sua rete di siti partner. Gli annunci possono apparire nella SERP come risultati di ricerca quando gli utenti cercano parole chiave correlate al prodotto o servizio offerto dall’azienda. Questi risultati mostreranno la classica etichetta che indica la sponsorizzazione.  Google Ads funziona su un modello di pagamento per clic (PPC), il che significa che si paga solo quando un utente clicca sull’annuncio. Questo approccio permette di arrivare con precisione agli utenti interessati, ottimizzando il budget pubblicitario e aumentando le possibilità di conversione.

Facebook Ads

Diversamente da Google Ads, Facebook Ads, permette di sfruttare i dati rilasciati dagli utenti nella piattaforma, come informazioni demografiche e interessi, per targetizzare gli annunci. Gli inserzionisti possono creare campagne altamente personalizzate che andranno poi a popolare i diversi spazi dell’ecosistema Meta e i media affiliati. La forza di Facebook Ads risiede nella sua capacità di costruire una comunicazione mirata, basata sugli interessi specifici degli utenti, incrementando l’engagement e la fedeltà del brand. Durante la realizzazione della campagna ads su Google si andranno a scegliere le parole chiave per le quali si vuole che il brand esca. Nulla vieta di selezionare anche il nome dei concorrenti. Sarà capitato anche a te di vedere annunci di tuoi competitor uscire tra i risultati sponsorizzati di Google quando cerchi le partole chiave legate ad un tuo prodotto o al tuo brand.
Ora la domanda sorge spontanea, ma è lecito? 

Il parere dell'Esperto

Veronica Carobene
Dott.ssa Veronica Carobene

Google, all’interno dei termini di utilizzo, non pone limiti alla scelta delle parole chiave; quindi, lascia intendere che per lui sia lecito. Questa metodologia di azione, sebbene possa sembrare un modo efficace per intercettare potenziali clienti interessati ai prodotti o servizi simili offerti dalla concorrenza, solleva questioni etiche e legali significative.

Utilizzare il nome dei competitor come keyword può essere percepito come ingannevole o confusivo per gli utenti e può andare a danneggiare la reputazione del marchio. Per questo esistono diverse sentenze che ci aiutano a capire fino a che punto ci si può muovere restando nella liceità. 

I casi nella Giurisprudenza

Per la giurisprudenza è necessario verificare caso per caso il modo in cui l’annuncio viene presentato, tenendo in considerazione parametri come, ad esempio, la sua visualizzazione a seguito dell’inserimento del marchio come parola chiave, oppure ancora se l’annuncio e il marchio del terzo compaiono entrambe nella stessa pagina, così da sviare l’utente.

La sentenza della Corte di Giustizia

Ad esempio, nel caso Interflora vs Marks & Spencer (C – 323/09), la M&S aveva utilizzato quale keyword il marchio di Interflora, senza però citarlo esplicitamente al suo interno, per posizionare un annuncio del servizio di consegna di fiori a domicilio.
Con la decisione del 22 settembre 2011, la Corte di Giustizia ha chiarito che la sussistenza della contraffazione del marchio Interflora potrebbe derivare qualora l’annuncio di M&S inducesse gli utenti a ritenere che il servizio offerto da M&S sia parte della rete commerciale di Interflora.
Inoltre, la Corte, ha anche chiarito che, anche quando l’utente fosse in grado di riconoscere la corretta origine dei prodotti o dei servizi oggetto dell’annuncio, potrebbe comunque verificarsi una violazione del marchio qualora l’utilizzo da parte del terzo impedisse di fatto al legittimo titolare di acquisire o mantenere una reputazione idonea per attirare i consumatori e fidelizzarli.  Infine, maggiore tutela ricopre quel marchio, come quello Interflora che, dotato di notorietà, consente al titolare del marchio di vietare al concorrente di utilizzarlo come keyword per fini promozionali che gli portino indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio stesso, o in alternativa che possa recare un pregiudizio a tali caratteristiche.
Nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha ritenuto sussistente la violazione del marchio, poiché l’annuncio di M&S non permetteva agli utenti ben informati e attenti di comprendere l’effettiva appartenenza o meno della società alla rete di Interflora.
Tuttavia, in merito all’indebito vantaggio che M&S avrebbe acquisito dal carattere distintivo o dalla notorietà, la Corte ha ritenuto non vi fossero gli estremi per riconoscere un danno in capo a Interflora. 

La sentenza del Tribunale di Milano

Anche le Corti italiane sono state chiamate ad affrontare questioni simili, più nello specifico il Tribunale di Milano, con un’ordinanza del 13 settembre 2013 ha chiarito che 

“L’uso, non consentito dal titolare, di una parola corrispondente al marchio altrui per aprire un link sponsorizzato, costituisce un illecito contraffattorio ai sensi dell’art. 21, secondo comma c.p.i., in quanto utilizzato con funzione distintiva di servizi e in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato circa la provenienza dei servizi”

Nel caso di specie, la società chiamata a difendersi dall’illecito utilizzo del marchio come keywords, sosteneva che, la visualizzazione dell’annuncio dipendesse dal motore di ricerca Google, il quale utilizzando la funzione “corrispondenza estesa”, associava automaticamente il marchio altrui ai servizi identici pubblicizzati sui siti del ricorrente.
Il Tribunale ha ritenuto che, l’inserzionista fosse comunque obbligato a rispettare i diritti di privativa industriale e che per fare ciò avrebbe dovuto utilizzare la funzione di Google “corrispondenza inversa” in modo da non far comparire l’annuncio in corrispondenza di termini non pertinenti al prodotto o al servizio che si vuole offrire. 

La sentenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Infine, tra le Autorità chiamate ad esprimersi su queste tematiche vi è L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che a febbraio 2015, si è pronunciata su un caso di utilizzo di marchio altrui tra le parole chiave relative ad una campagna ads. Con riferimento all’utilizzo del marchio di una nota società veneta di arredamento cucine da parte di società concorrente, senza che vi fosse alcun rapporto di natura commerciale, l’Autorità ha disposto che la condotta posta in essere dalla società inserzionista fosse ingannevole e determinasse confusione tra i consumatori, così configurando un’ipotesi di pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 21, comma 1, lettere a) ed f), e comma 2, lettera a), del Codice del Consumo, pertanto ne ha vietato la diffusione o continuazione ed ha irrogato alla Società una sanzione amministrativa pecuniaria.

Quindi? È lecito usare un marchio come Keyword nelle Google Ads?

Alla luce della rassegna giurisprudenziale esposta, si può sostenere che, in generale il discrimine è quanto sia chiaro o meno (o ingannevole o meno) dall’annuncio comprendere, per colui che naviga, che quel risultato non appartiene al brand/keyword cercata. Nel caso in cui la sponsorizzata risoluti ingannevole il proprietario del brand utilizzato come termine di ricerca per l’adv potrà richiederne a rimozione, perché sarà ritenuta concorrenza sleale.

Qual è la situazione negli altri Paesi? 

In alcuni paesi, questa pratica può infrangere le leggi sulla concorrenza sleale e sui marchi registrati, esponendo le aziende a rischi di contenziosi legali. Le normative variano significativamente da una giurisdizione all’altra, ma spesso si tende a proteggere l’uso esclusivo del marchio registrato, limitando la capacità degli inserzionisti di utilizzare liberamente i nomi dei competitor nelle loro campagne pubblicitarie.

Stati Uniti

La normativa si concentra sul concetto di “fair use” e sulla possibilità di causare confusione tra i consumatori. Il Lanham Act, che regola le questioni di trademark negli USA, è spesso al centro di queste dispute. 

Unione Europea  

La Direttiva UE sui marchi (n. 2015/2436) e le leggi nazionali sui marchi degli Stati membri offrono protezione contro l’uso non autorizzato dei marchi. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJUE) ha emesso diverse sentenze che affrontano l’uso di marchi altrui nelle parole chiave per la pubblicità online, stabilendo che tale pratica può violare i diritti dei marchi se causa confusione nella mente del consumatore. Tuttavia, l’uso può essere consentito se non pregiudica le funzioni essenziali del marchio e non trae vantaggio indebitamente dal suo carattere distintivo o dalla sua reputazione.

Regno Unito

Pur avendo lasciato l’UE, il Regno Unito segue principi simili a quelli dell’UE in materia di marchi e pubblicità. Le leggi sui marchi nel Regno Unito proteggono i titolari di marchi dall’uso non autorizzato dei loro marchi che potrebbe causare confusione o un’associazione ingannevole. Le decisioni delle corti britanniche tendono a riflettere la giurisprudenza della CJUE in materia di uso dei marchi nelle campagne pubblicitarie online.

Australia 

La legge australiana sui marchi e la legge sulla concorrenza e i consumatori (Australian Consumer Law) forniscono il quadro legale per l’uso dei marchi dei competitor nelle pubblicità. Anche in questo caso troviamo al centro il consumatore. Le aziende devono soddisfare una serie di diritti fondamentali chiamati garanzie dei consumatori quando vendono prodotti o servizi.

In Conclusione

Nel caso in cui capiti anche a te che il tuo brand venda utilizzato come parola chiave nella campagna pubblicitaria di un tuo competitor puoi intraprendere diverse azioni, come:
In prima istanza si consiglia di procedere con una diffida e, nel caso in cui non sia efficace, si può utilizzare Linkiller.
Linkiller è il servizio di Tutela Digitale che ti permettere di rimuovere o deindicizzare i link nel motore di ricerca, andando così a ripulire a tua reputazione. Ma non solo, il tema legale ti può supportare in situazioni di concorrenza sleale e violazione del marchio. In alternativa si può procedere anche per vie legali, se sussistono i presupposti di ingannevolezza, concorrenza sleale e utilizzo improprio del marchio. 

 

Per Approfondire:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A62009CJ0323
https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9574.pdf

Silvia Tugnoli

Silvia

Silvia Tugnoli, libera professionista nel settore del web marketing e della comunicazione, collabora con Tutela Digitale dal 2020

Silvia

Silvia Tugnoli, libera professionista nel settore del web marketing e della comunicazione, collabora con Tutela Digitale dal 2020
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